Durante le scuole medie ho sviluppato una passione per la pittura che mai avrei immaginato, in particolare per i colori ad olio. Non sapevo come usarli e i miei tentativi pittorici erano, ora che ci penso, agghiaccianti, ma mi piaceva tantissimo! Per l’esame di terza media mi ero costruita un cavalletto e durante l’estate mi ricordo di aver provato anche la sanguigna e carboncino. Avrei voluto fare il liceo artistico, ma mio papà (capendo che si trattava di una passione giovanile), mi ha indirizzato verso lo scientifico dove però sapevo di poter fare un corso di pittura pomeridiano.
Quel corso di pittura è stato la morte della mia passione per la pittura.
Come si distrugge una passione
L’insegnante del corso era un tipo parecchio stravagante (condito pesantemente di fumo e alcool). Io amavo gli impressionisti, Van Gogh e la copia dal vero (soprattutto delle mani se usavo la matita e della natura se dipingevo), ma a lui questa cosa evidentemente annoiava parecchio, preferiva quei quadri effetto murales super di moda a quel tempo e tipici di quelli che, tra una canna e l’altra, mescolavano il “Guernica” di Picasso con la “fuga in Egitto di Giotto” tanto per fare gli alternativi.
In pochi mesi ho sviluppato l’idea che quella passione me la fossi inventata, ho messo il cavalletto in garage, ho lasciato seccare i pennelli e i colori e non ho più preso in mano una tavolozza.
Fare tesoro e ripartire da una domanda
Credo di averci sofferto più di quanto ricordassi, perché, ora che lo scrivo, provo ancora molto dolore, ma dopo il mio post sul mio desiderio di lavorare ad un percorso visivo #spontaneamentecurato e quello sul “funziona per me” , ho riflettuto tantissimo su quanto sia importante lasciarsi liberi di sperimentare, di essere quello che siamo aldilà di quello che funziona o meno su un canale visivo come Instagram.
Di solito ci chiediamo sempre cosa funziona su un canale come questo, o forse non ce lo chiediamo neanche, ma ci lasciamo inevitabilmente condizionare dai trend (prima erano le foto dei piedi, ora i fiori nella vasca) e credo non ci sia nulla di male o di strano in tutto ciò perché essere immuni da quello che è trendy, secondo me, è un’utopia.
Quello di cui mi sono resa conto è che fino a qualche tempo fa, non mi sono mai fermata a chiedermi fino in fondo “ma a te Rita, cosa piace? Delle foto che hai pubblicato, quale ti da immensa soddisfazione aldilà dei like?” perché il “funziona questo” è sempre stata una considerazione inconsciamente predominante. Quello che fotografo mi piace, quello che c’è nel mio feed è molto mio perché nel tempo so di aver trovato una chiave e una modalità che mi appartiene, ma non sono immune dai trend e non mi interessa neanche fare l’alternativa per forza; quello che però desidero è chiedermi più spesso: “ok Rita i fiori sul tavolo, ma hai mai provato a guardarli in un altro modo? Cosa ti piace di loro? Cosa puoi dire di nuovo attraverso di loro? A te cosa piace davvero? Riesci a trasformare il trend in un’espressione tua?”. Poi magari il risultato non mi piacerà o non riuscirò a venirne fuori – mal che vada mi esce una foto “che funziona” per Instagram – ma questo non significa gettare la spugna!
Cambiare prospettiva
Più si avvicina per me il momento in cui il mio profilo Instagram racconterà per qualche mese la storia di una professionista in pausa (maternità ti aspetto!), più mi rendo conto di aver bisogno di sfidarmi, di usare quello che so che funziona, sperimentando, guardandolo diversamente, con occhi miei, recuperando quella Rita che amava la copia dal vero e la pittura degli impressionisti, ricercando in quella “banalità” la mia forma, per essere sempre più me stessa nella relazione con chi ho davanti.
Ama e fa’ ciò che vuoi
diceva un tal Agostino e io è così che voglio raccontare chi sono: con cura e amore per chi ho davanti (o aldilà dello schermo) senza prescindere da chi sono e da quello che voglio.
Da quando ho iniziato a ripetermelo, qualche idea è iniziata a spuntare nella mia testa, ma nel frattempo avevo bisogno di raccontarvi a che punto sono.