Dieghino, il mio terzo, qualche giorno fa è tornato a casa dall’asilo dicendo che dovevamo fare gli auguri a mio nipote perché “sabato era S.Mattia”. I suoi fratelli, dall’alto della loro età e scienza infusa, hanno deciso che non era vero innescando una delle solite litigate che si concludono praticamente sempre con calci e sberle al grido di “io sono più grande di te” (poi intervengo io e lì si che le urla sono di un certo livello). Diego era certo che fosse così: “il 24 febbraio è S.Mattia, c’è scritto sul calendario dell’asilo e me l’ha detto la Patri (ndr. la sua maestra)”. Per me la cosa poteva concludersi lì perché mi fidavo della sua certezza basata su un calendario e su quel “me l’ha detto la Patri”, ma i suoi fratelli invece erano ancora focalizzati sul “Diego è piccolo, si inventa un sacco di cose“, così ho preso il calendario e gli ho mostrato la scottante verità: 24 febbraio – S.Mattia.
Ultimamente mi sono capitati vari episodi che mi hanno fatto molto riflettere su cosa significhi essere autorevole perché spesso, noi stessi e le persone che incontriamo, giudicano il nostro lavoro basandosi su alcuni numeri (nel mio caso i followers su Instagram o le interazioni ai post), come se l’autorevolezza dipenda effettivamente solo da una cifra. Chiaramente i numeri non sono uguali a niente – come non lo è l’età – ma davanti a Dieghino piangente (è un attore nato) ho capito che l’autorevolezza ha a che fare con molte più cose.
Cosa significa per me “essere autorevole”
Da quando faccio questo lavoro non c’è stato giorno in cui io non mi sia sentita “mancante” e quindi bisognosa di studiare e di trovare fonti autorevoli che mi aiutassero a fare passi in più nella conoscenza di quello che faccio e sono. Credo dipenda molto dalla mia storia e dal fatto che ho sempre pensato di aver bisogno di persone più grandi (in termini di coscienza e non di età) per fare dei passi di crescita. In questi giorni però mi sono chiesta come succede che una persona diventi “autorevole” per me e ho evidenziato questi punti ricorrenti:
- Ogni volta che parla o scrive mi offre spunti di lavoro e riflessione;
- ha più esperienza di me in quel determinato ambito;
- non smette mai di studiare e per questo conosce bene quello di cui parla senza affidarsi a dicerie o schemi pre-confezionati;
- non ha paura di sbagliare o di mettersi in discussione;
- sa ascoltare e immedesimarsi;
- non mi risolve un problema, ma mi offre strumenti perché sia io a risolverlo;
- non rifiuta la fatica, anzi la reputa una grande alleata;
- ha a sua volta dei punti di riferimento;
- non ha paura di essere sé stessa.
Nell’identificare questi aspetti ho in mente delle persone precise che per me sono autorevoli nel lavoro e nella vita e guarda caso, per nessuna di loro, l’età, il fatturato, i numeri sono un’unità di misura che prendo in considerazione. Certo poi se una persona mi deve insegnare a fare delle riflessioni di budget e investimenti sarà importante sapere come sta “funzionando”, ma anche in questo caso affianco sempre il numero a tutta una serie di altre considerazioni che mi aiutano a dare a quel dato il giusto peso.
Come essere sempre più autorevole
Ecco allora che, tornando al mio constante desiderio di fare meglio, ho dei nuovi criteri da prendere in considerazione, dei criteri che sono interessanti per me e che quindi non posso fare altro che desiderare per il mio lavoro e per il mio modo di pormi. Non è detto che per tutti valgano gli stessi criteri, anche questo dipende dalla strada che vogliamo percorrere, ma davanti a tante persone che desiderano intraprendere una nuova strada lavorativa, che hanno qualcosa da dire rispetto ad un tema, chi sono io per stabilire che non possono? Io ho iniziato da un blog, sono passata da un prodotto e ora vendo servizi e l’ho fatto maturando piano piano e con il desiderio di “diventare grande” e se ho qualcosa da dire non rinuncio a farlo solo perché là fuori ci sono persone che hanno numeri più grandi dei miei.
Guardo Dieghino e penso che si è meritato che gli venisse riconosciuta quella dose di autorevolezza, questo senza dubbio gli ha fatto capire che sì, anche la sua voce conta, dall’alto dei suoi 4 anni e del suo metro e dieci. Lui quel giorno ne sapeva più degli altri.