Qualche tempo fa sono stata ad un evento dove il relatore chiedeva alle oltre 800 persone presenti di alzare la mano se si sentivano dipendenti dal cellulare: non esagero se dico che quasi tutti avevano la mano alzata e la cosa che mi ha fatto più impressione è che in quelle alzate di mano si avvertiva una certa leggerezza della serie “ahah anche tu?” un po’ mal comune mezzo gaudio. Io ero di fianco ad un’amica che mi ha chiesto se davvero non mi sentivo dipendente (non avevo alzato la mano perché so molto bene che io posso vivere senza cellulare anche a costo di riniziare il mio lavoro in modo totalmente diverso) e in quel momento ho sentito una grandissima responsabilità. Stavo già lavorando a Ri-Belle, anzi, mancavano solo gli ultimi controlli ed era pronto per la stampa con tutti i timori del caso, ma quell’episodio mi ha fatto capire che, al di là di come sarebbe andata, io quella cosa la dovevo dire, a mio modo, un modo semplice e creativo, un modo senza giudizio o senso di colpa ma pieno di possibilità di bellezza di semplicità e amore per la quotidianità.
Quando ho fatto vedere al Calda Ri-Belle, la sua perplessità mi ha lasciato di stucco. L’ultima volta che si era dimostrato perplesso davanti ad un mio progetto era stato quando aveva visto i quaderni che avevo preparato per la mia “nuova cartoleria”. Quella volta insomma in cui il mio progetto si è dimostrato una pessima idea e ho deciso di chiudere quel reparto del Cottage. Ci aveva visto bene allora, e la sua nuova perplessità mi ha letteralmente paralizzata.
Quel giorno ho pianto. Ero stanca, avevo un sacco di scadenze, stavo rilanciando Riflessi e stavo leggendo un libro che mi stava chiedendo moltissime riflessioni sulla mia strada. Ci mancava solo lui. Poi gli ho chiesto perché era perplesso e mi ha detto “perché io non lo userei”, mi sono fatta coraggio e gli ho chiesto “perché?” e la sua risposta è stata “perché io non voglio stare senza cellulare”. Ho deciso allora che non l’avrei ascoltato neanche questa volta, ma questa volta la ragione era molto diversa.
Qualche tempo fa ho scritto che “quando capisci chi sei, tutto cambia” ed è così anche questa volta: sono sempre più convinta che il mio compito non sia chiedere alle persone di cambiare radicalmente vita, ma di fare piccoli passi nella vita che hanno, imparando a guardarla e ad amarla per quella che è e cambiando lo sguardo prima di cambiare le circostanze (se possibile).
Ho portato a termine questo progetto perché non c’è niente che mi entusiasma, stupisce, muove di più del prendersi cura del proprio tempo per scoprire di più la stoffa di cui siamo fatti.
Non chiedere al mondo di cosa ha bisogno, chiediti piuttosto cosa ti rende vivo e fallo perché ciò di cui ha il mondo ha bisogno è di persone vive. – H. Thurman
Persone vive che siano in grado di guardare la loro vita senza distrarsi, senza lasciarsi rubare il tempo e il gusto, amandola, secondo per secondo.
Se anche questa volta aveva ragione il Calda (ma no, ora dopo aver visto l’entusiasmo con cui è stato accolto posso dire che si sbagliava) quello che non è tolto è il desiderio di fare quello che mi rende viva. E questo, in un modo o nell’altro porterà i suoi frutti, prima di tutto in me e poi chissà.