Scena uno: Interno giorno – teatro – recita di bambini
Osservo dal fondo della sala Davidino, il mio secondo, che fa la sua parte da soldato romano dopo aver superato con tutte le sue forze quella timidezza che lo “instupidisce”. Cerco con lo sguardo Leti, la mia prima, per darle quell’occhiata della serie “hai visto tuo fratello? ce l’ha fatta” e la vedo china su un tablet assieme ad altri bambini. La richiamo cercando di controllare il mio fastidio. A fine recita la chiamo per andare a casa e lei mi risponde “aspetta mamma che ci dobbiamo fare una foto”, sento uno strano disagio in quelle parole e le dico di muoversi e di mettersi la giacca perché dobbiamo andare. In auto, lei piange perché “ecco, ho perso l’occasione di farmi una foto, ora mi dimenticherò di quel momento”
Scena due: esterno giorno – prati e campi dietro casa in un pomeriggio pre-primaverile
Scena tre: il giorno dopo – esterno giorno – pulmino al rientro dall’asilo
Quel giorno ce l’avevo fatta, ero riuscita a finire prima il lavoro e potevo andare io a prendere “i maschi”; ero contenta e sapevo che soprattutto Davidino avrebbe apprezzato.
Si aprono le porte del pulmino, lui è in lacrime. Gli chiedo spiegazioni e mi racconta di un tablet che era all’asilo (e sul pulmino) e che lui non riusciva a vedere, mi dice singhiozzando che lui lo vuole più di ogni altra cosa al mondo. Io mantengo la calma e gli dico che lui non lo avrà perché non ne ha bisogno, perchè c’è un mondo da guardare e ci sono amici con cui giocare.
Ma forse quelle parole non bastavano neanche a me e improvvisamente mi sono accorta che davanti all’insufficienza di quelle spiegazioni avevo un’ancora di salvezza: i prati del giorno prima! E’ stato semplice ricordare la bellezza di quella mezz’ora passata all’aperto, tra legni e primi fiori, ed è stato semplice per i miei figli dire “è vero mamma è stato bello! Poi c’era quel cagnolino ti ricordi? E poi le foglie facevano rumore quando le abbiamo lanciate..” ci siamo chiesti se queste cose erano possibili davanti ad un tablet e ci siamo detti di no, senza dubbio (anche se le lacrime erano ancora lì).
Così ho capito: vale la pena fare una fatica solo se ha uno scopo visibile, toccabile, sperimentabile. Questi “NO” che io mi ostino a dire e che a loro costano lacrime (e a me sangue amaro perché spesso mi sento un’aliena in questo rifiuto del “ma sì, cosa vuoi che sia, almeno stanno tranquilli”) mi chiedono un impegno, l’impegno di continuare a scoprire con loro cosa significa “fare esperienza” e “fare memoria delle cose”, perché veder passare le cose davanti agli occhi non è fare esperienza, e fissare un istante in una fotografia non è fare memoria; lo diventano quando la vita e il cuore si impastano con quello che capita fino al punto di dirsi “questo che ho davanti agli occhi in questo momento è proprio quello di cui il mio cuore ha bisogno” oppure “questa cosa che mi sta succedendo ora è lontanissima da quello che desidero”.
Si potrebbe scegliere un tablet (che non condanno assolutamente e rimane uno strumento utile in molti casi), ma per me e per i miei figli, ora, io scelgo un prato, un fosso, una mucca, un fiore, un albero, un fiume, l’aria, il cielo, un libro, un legno, un profumo, un sapore, ma anche un ginocchio graffiato, una litigata rabbiosa, una caduta in bici, un NO secco.
E’ una bella fatica, perché mi chiede più attenzione, più disponibilità nei loro confronti, e più cura del tempo che viviamo insieme, e mi chiede soprattutto di immedesimarmi con quei desideri che esprimono, trattarli come tratto i miei, guardarli, giudicarli e cercare una risposta adeguata. Non c’è giorno che io non mi metta in discussione e non mi senta inadeguata, ma forse ho capito un po’ di più cosa vuol dire essere mamma.
P.s. In questo desiderio di scoperta del mondo abbiamo trovato un libro che mi/ci sta aiutando a osservare in modo insolito
Strano per molti aspetti, richiede di uscire dagli schemi, di tornare bambini (anche con le “stranezze” che questo comporta), ma lo spirito con cui ti introduce all’esplorazione mi ha conquistata:
“Non smetteremo di esplorare e alla fine di tutto il nostro andare ritorneremo al punto di partenza e conosceremo quel luogo per le prima volta” (T.S. Eliot)