Il racconto di Barbablù è arrivato a casa nostra all’Epifania, dopo che Diego mi ha raccontato entusiasta che all’asilo gli avevano letto “una storia di paura”.
Non la conoscevo quella storia e, quando ho scoperto che la trama aveva a che fare con un uomo che sgozzava le mogli in uno stanzino, ammetto che ho avuto una qualche perplessità. Diego però continuava a raccontarmela e la mia fiducia nei confronti dell’asilo mi ha fatto decidere di regalargli il libro con la narrazione su Cd (e che scoperta glia audio libri!!).
Ad oggi Brabablù è il racconto più ascoltato e recitato in casa nostra e io, grazie a questo, non ho potuto fare a meno di interrogarmi sulla paura. Dalla ripresa di settembre ci sono state 3 paure grosse che mi hanno accompagnato. Si tratta di paure di diverso tipo e “dimensione” e il fatto che siano così diverse ed appartenenti ad ambiti così vari della mia vita, mi ha fatto capire che ogni emozione, grande o piccola che sia merita di essere guardata.
“Non preoccuparti, pensa positivo”
La prima paura che ho dovuto guardare in questo periodo è stata quella di perdere Olivia. Quei mesi di riposo forzato senza la certezza che la cosa fosse davvero utile per portare a termine la gravidanza sono stati accompagnati da una costante paura, spesso angoscia mista a terrore (e tantissime lacrime). In quei giorni infiniti sul divano mi rendevo conto che la frase meno utile che mi potessi ripetere era “non preoccuparti, non ci pensare” perché quando il sangue è il tuo compagno quotidiano (scusate la durezza) e ogni visita in Pronto Soccorso si conclude con un “signora se non deve andare non va, ma tanto ha già tre figli” l’unico risultato che ottieni è un’alternanza tra l’angoscia e il sentirti sbagliata, stupida a provare quel sentimento.
Ad un certo punto mi sono ribellata ai “pensa positivo” e ho smesso di andare al Pronto Soccorso, mi sono detta che Olivia c’era finché doveva esserci e il resto non era affare mio, non ho mai negato il desiderio di poterla abbracciare, ma mi sono fermata soprattutto al giorno per giorno e ho scoperto con meraviglia il senso di quei mesi apparentemente assurdi (che vi ho raccontato qualche tempo fa)
Mal che vada
La seconda paura ha a che fare con il lavoro, in particolare con il lancio del mio secondo corso su Instagram. Quando ho lavorato su Cindy, il mio primo corso, non avevo la stessa paura perché sapevo che c’era un buco d’offerta e che il lavoro che chiedevo era adatto alla maggior parte delle persone che utilizzano Instagram. Lavorare a “Traccia il sentiero” è stato totalmente diverso, ho dovuto approfondire le fonti, studiare molto e andare a toccare temi e argomenti piuttosto ostici, meno “emotivi”, più tecnici. Ancora una volta stavo uscendo dalla mia comfort zone, come quella volta che ho lanciato la linea di cartoleria uscendo da confini sicuri… peccato che quella volta sia stata un bel disastro.
Eccola lì la paura: fallire di nuovo, cadere e dover trovare ancora la forza di rialzarmi. Sapevo però che per crescere avrei dovuto riaffrontare quel salto, facendo tesoro degli errori fatti in precedenza, spuntando la lista delle cose da non rifare, ma avendo piena coscienza che comunque si trattava di un salto. Così mi sono chiesta “Rita, mal che vada cosa potrebbe succedere?” e le risposte sono state diverse: vendere zero corsi, perdere di autorevolezza, aver buttato ore di lavoro… Per ognuna di queste risposte c’era però una soluzione, o un lavoro che avrei potuto fare, ma soprattutto c’era la consapevolezza che ad ogni fallimento c’è una nuova strada da poter guardare (come è accaduto da quando ho chiuso la cartoleria e ho intrapreso questo percorso come formatrice). E allora via, occorre rischiare, con il cuore a mille, ma va fatto.
(n.d.r. Questa volta è andata pure bene perché mi ero prefissata di vendere almeno 20 Traccia entro la fine di marzo e invece ho raddoppiato la previsione)
Molla le redini
L’ultima paura è un timore recente, è quasi ridicolo perché è piccolo, ma per me che lavoro in proprio è un pensiero costante e a tratti invadente. Questa paura ha a che fare con i mesi che mi aspettano, quelli che riguardano la mia pausa maternità e che quindi comportano il fatto che io, per staccare davvero, debba cambiare la mia comunicazione online mollando le redini dell’essere sempre sul pezzo, sempre aggiornata, sempre disponibile, sempre al lavoro, lasciando lo spazio a tutta la vita che, a Dio piacendo, tra un mesetto arriverà a casa nostra. Non ho un lavoro da dipendente, dove posso salutare tutti con un allegro e spensierato “ci si sente tra 5 mesi” – ammetto che è una condizione che ultimamente ho invidiato spesso – e so perfettamente che non posso permettermi di sparire dal panorama online, ma la vera sfida sarà esserci come una vera “professionista in pausa”.
Ho degli strumenti, ho dei suggerimenti e ho i prossimi mesi davanti che scopriremo insieme. Ce la farò? Chi lo sa, intanto guardo in faccia la paura scrivendola qui, leggendola ad alta voce, come i miei figli con Barbablù.