La maternità per me è stata una rinascita. Considerazione scontata (ultimamente dico un sacco di banalità), ma per quanto mi riguarda non ha voluto dire tanto generare chissà quali e quante nuove idee, ma è stata rigenerante nel modo con cui ho deciso di rimettermi in pista.
Abolire il dovere
A luglio partivo per la montagna con la mia famiglia ed in cuor mio mi dicevo che entro due mesi sarei dovuta tornare al lavoro con qualche lancio o offerta di quelle grosse e avrei dovuto sistemare/aggiornare le offerte già esistenti. Ne avevo in mente un paio, le avevo pianificate all’inizio dell’anno, e mentre mi dicevo “sì eco devi mettere a punto questo e preparare quell’altro” ero ancora lì, in montagna, con la mia famiglia, tre bambini esploratori, una bimba di un mese, degli amici come compagnia e un panorama bellissimo. E’ stato a quel punto che ho capito fino in fondo che mi stavo perdendo di nuovo il bello del mio lavoro e cioè la possibilità di dire “no, questo invece non lo faccio”.
Così mi sono goduta l’estate senza fare nulla per un rientro al lavoro con i fuochi d’artificio, non ho fatto nulla di quello che la Rita-stakanovista aveva deciso che avrei dovuto fare, mi sono svuotata totalmente dal dovere e ho messo un bel cartello nel mio cervello che diceva “non è il momento di pensarci”. E’ stata una delle estati più belle della mia vita (ma forse lo dico tutte le estati XD), una di quelle fatte davvero di libertà e spensieratezza.
Ripartire dall’entusiasmo
Se è stata così feconda è perché, nonostante fosse vuota di lavoro, è stata piena di domande; domande su quello che voglio fare da grande e sull’insufficienza del dedicarmi solo ad Instagram, domande sul valore che voglio offrire e sui talenti che so di avere, domande sui pezzi di cui sono fatta e della cornice che li può contenere tutti quanti, domande sul senso di alcune intuizioni e sulla strada da percorrere per prenderle sul serio,. Ecco, ho deciso di partire da lì, dalle intuizioni e dalle idee strambe che ne sono nate, mi sono impegnata molto per mettere a tacere la signorina Rottermeier che è sempre lì a dirmi “Rita, questa cosa andrebbe fatto meglio, prima impara a farlo bene, questa qui è una scemenza, riprendi la pianificazione che hai deciso all’inizio dell’anno, non uscire dal seminato senza sapere dove ti porterà”, ho guardato l’entusiasmo e il divertimento che mi suscitavano certe idee e mi sono detta “fallo e basta” (sì è lo slogan della Nike e sì, avevano ragione!).
E così i pezzi hanno iniziato a ricomporsi, ho iniziato a vedere la cornice di quello che desidero sia il mio fare, ho capito un po’ di più cosa mi interessa, io chi sono e che possibilità ci sono per me, mi sono anche detta che il mio lavoro, quello che voglio fare da grande forse non ha ancora un nome, ma in fondo è stato così per tutti, per i fabbri che hanno iniziato per primi a lavorare il ferro e per le vetriniste che per prime hanno abbellito quegli spazi a vetri che accoglievano in negozio.
Le cose prima esistono, poi si chiamano per nome.