Qualche giorno fa i miei genitori sono venuti a bere il caffé a casa mia, i bambini stavano guardando un cartone della Pixar (non toccatemi la Pixar) e mio papà se n’è uscito con il più classico dei “pff, una volta i cartoni erano più belli. Non ci sono più i disegni di una volta”. A parte suscitare in me un “papà sei proprio vecchio” (e non toccatemi la Pixar), mi ha fatto anche pensare che questo rimpianto dei bei tempi passati è qualcosa che accompagna costantemente tutti i cambiamenti che si verificano nella realtà di tutti i giorni, qualunque essa sia.
LAMENTARSI IS THE NEW BLACK
Mi imbatto quasi quotidianamente in post (italiani e stranieri), commenti, didascalie, chiacchiere sui gruppi in cui si sprecano considerazioni del tipo “eh non c’è più l’Instagram di una volta, ora è tutto artefatto, quando abbiamo iniziato noi facevi una foto e piovevano centinaia di like. Poi il formato quadrato è quello originale, ora non c’è più gusto anzi, questo nuovo modo è noioso, e poi non si cresce più, l’algoritmo è una fregatura, era meglio quando i contenuti erano mostrati in ordine cronologico…. i nostri sì che erano bei tempi”. Se nella vostra mente si è materializzato un gruppetto di vecchietti fermi davanti ad un cantiere avrete capito cosa suscita in me questo tipo di considerazioni.
Nell’era della libertà di scelta e davanti ad un’infinità di possibili canali mi chiedo sempre se c’è qualcuno che ci costringe a stare su Instagram, se ce l’ha prescritto il dottore, perché se non è così, se è una scelta consapevole e voluta perché utile alla nostra attività, allora forse il problema non è di Instagram (che si evolve come tutti i canali di comunicazione), ma del nostro approccio resistente ai cambiamenti e al metterci in discussione.
ABBRACCIARE IL CAMBIAMENTO (e farsi il culo)
Da quando sono su Instagram c’è stato solo un momento in cui ho ho avuto il dubbio che quello fosse il canale giusto per me, ma poi ho capito che il problema non era nelle dinamiche di funzionamento di quel canale, quanto piuttosto nel mio modo di lavorare e di creare contenuti. Da allora non ho avuto più nessun problema a lasciarmi guidare dai cambiamenti del mezzo e del mio percorso professionale, non mi preoccupa che le foto di oggi non siano più come quelle di un anno fa (di qualche mese fa a dirla tutta) perché è cambiata in me la concezione di cosa significhi “bello” e “coerente”: quanto più uno ha chiara la propria identità, la ragione per cui fa un determinato lavoro, per chi lo fa e come lo vuole fare, tanto più sarà coerente nelle scelte di comunicazione e non avrà problemi a modularsi, a cambiare, a rischiare, seguendo l’evoluzione del proprio percorso e di quel determinato canale di comunicazione.
Se siamo cristallizzati in una forma, se quello che abbiamo imparato anni fa non è mai stato messo in dubbio, se manca la ricerca e la scoperta della nostra identità, se non ci fermiamo a chiederci chi siamo, cosa vogliamo raccontare, perché e con quali obbiettivi, allora certamente arriveremo ad un punto dove “fare una foto” si ridurrà ad una scelta estetica fatta a priori e non finalizzata ad un messaggio, che ci incastra inevitabilmente e alla lunga ci rende artificiali.
Davanti ai cambiamenti ci sono tre possibilità: lamentarsi, rimboccarsi le maniche o scegliere di spostarsi su un altro canale perché se Instagram ci ha stufato non è colpa di Instagram, forse siamo solo dei vecchietti davanti ad un cantiere.