Ma come? Abbiamo detto l’altra volta che su Instagram l’amicizia non conta?
E’ vero, ne sono ancora convinta, ma nel post su Instagram che rimandava a quel testo ho ricevuto questo commento e ho capito che non avevo detto tutto:
“Mah. Onestamente non mi è proprio piaciuto quanto letto. Mi sforzo di interpretare in chiave business, ci metto l’ottica del social come strumento di lavoro, mettiamoci pure la prospettiva del media come strumento marketing. Gli studi e le esperienze lavorative fatte nel mondo della comunicazione in teoria dovrebbero darmi la capacità di capire e di giudicare in modo analitico. Non ci siamo comunque. E francamente mi fa molto riflettere che si sviluppino queste prospettive. Mi rattrista proprio. Io ritrovo bellezza, ma bellezza infinita, anche e soprattutto negli scarponi da montagna di mio padre. Trovo cuore e pezzi di anima nelle grigliate di mia cugina e nelle foto con filtro Sierra della mia collega. Ci ritrovo la vita lì. Tanto quanto nelle foto studiate, posate, rielaborate, pensate. Tanto quanto in chi per hobby e per lavoro cura maniacalmente le proprie immagini e si addormenta a suon di algoritmi. La bellezza c’è in chi crea artigianalmente e sfrutta il social come vetrina e in chi fotografa la torta di compleanno per il primo compleanno del figlioletto. Perché credo e voglio credere che dietro ci sia sempre una persona. Perché prima vengono le persone, poi quello che pubblicano o che non pubblicano in un social. Perché le pulizie le faccio in casa, non pulisco le persone.”
Nel momento io cui scrivo sono reduce da tre giorni lontana da internet per dedicarmi alla mia identità offline, quella che alimenta quella online e senza la quale io sarei una che ricerca solo una cura estetica, aldilà del percorso e del racconto di sé.
Quando ho letto il commento mi sono detta “cavolo, ma se si è capito questo, ho sbagliato tutto!”, perché se c’è una cosa che so è che non esiste bellezza esteriore senza che uno ricerchi una bellezza che va aldilà dell’aspetto estetico, quella bellezza che dura perché fatta di cose vere, di legami profondi, di cuore e di imperfezione.
Ho chiesto il permesso a @cicaricicari di citarla e di risponderle qui perché ci sono cose da chiarire fondamentali per tutti:
INSTAGRAM È UN SOCIAL NETWORK, NON È LA VITA
Quando io parlo di Instagram in funzione di piccole attività, parlo di uno strumento di promozione del proprio lavoro (non di hobby) che quindi deve tenere conto delle dinamiche che lo regolano, di cosa funziona meglio (nel senso che raggiunge determinati obiettivi) e di cosa invece non funziona (ma può funzionare altrove!). Quando parlo delle scelte che opero su Instagram non parlo di scelte di vita, ma di criteri con cui mi muovo su quel canale perché quello strumento sia sempre più funzionale alla mia attività. Quando dico che non seguo le mie amiche su Instagram non dico che non mi interessano, dico che per il mio lavoro seguire il loro profilo non è utile, ma non significa che non sia utile la relazione con loro, è esattamente il contrario (ma questo lo spiego dopo). Io non faccio pulizia di persone, io faccio pulizia di account (che non sono persone).
INSTAGRAM SI ALIMENTA DI BELLEZZA
Instagram è un social che nel tempo ha sviluppato una componente estetica notevole, una cura dell’aspetto visivo quasi maniacale (anche senza il “quasi”).
La bellezza intesa come insieme di elementi e di scelte compositive colpisce e calamita più della bruttezza di una foto mossa, buia, sgranata, filtrata, scentrata ecc.. ed è quindi fondamentale SU INSTAGRAM decidere con quali contenuti “scontrarci” ogni giorno (ed ecco che qui entra in gioco INK361 e tutto il discorso sulla selezione dei followings) per esercitare i nostri occhi a questa bellezza estetica. Il post su INK361 si limitava a questa parte, all’esercizio di osservazione della bellezza cui dobbiamo sottoporci se vogliamo ricrearne altrettanta; ne dava però per scontata un’altra.
LA BELLEZZA COME LINGUAGGIO UNIVERSALE
La componente estetica di Instagram è una lama a doppio taglio perché se da una parte riempie gli occhi, dall’altra rischia di diventare artificiale e, ancora peggio, di essere l’immagine attraverso cui noi stessi ci specchiamo, costruiamo la nostra identità, e quindi in ultima analisi ci misuriamo.
Questo è il grande pericolo di cui bisogna essere consapevoli perché, come citava una ragazza al mio ultimo workshop, “la potenza è nulla senza il controllo”. E qui arrivo alla parte in grassetto del commento di @cicaricicari perché è vero, c’è una enorme bellezza nella quotidianità, negli scarponi, nei giochi in disordine, nella tavola con le briciole, ma è una bellezza che tu @cicaricicari e io vediamo perché non la guardiamo con i nostri soli occhi, “è un vedere con sentire”, la guardiamo con tutte noi stesse, un intero che non ha chiunque stia dall’altra parte (perché si tratta di un’altra persona con un’altra storia) e che in qualche modo dobbiamo quindi tradurre per lui/lei in un linguaggio universale, quello della bellezza, comprensibile a tutti (ovviamente qui su Intagram) e non solo a una piccola parte che magari condivide con noi un pezzetto di strada offline e quindi in qualche modo ha un sentire condiviso con il nostro (perché già partecipa di un’esperienza condivisa). Sono quasi sicura che la foto degli scarponi non ti piace di per sé, ma perché lì c’è tuo padre, se fossero di uno sconosciuto che ti capita sul feed ti soffermeresti? Avresti lo stesso sussulto? io no, ma se guardo gli scarponi di questa foto qualcosa in me si muove, mi fa fermare, ricordare, immaginare…
Se guardo queste due foto di seguito io, Rita, so che il contenuto della foto, gli occhi che osservano e che hanno scattato, è lo stesso (perché sono io anche se a 4 anni di distanza), quello che mi muove dentro è lo stesso, ma so anche che la seconda foto, a chi non mi conosce offline, arriva più della prima, ha un racconto più efficace della prima perché in lei ho esplicitato molto meglio tutto il mio sentire, la dolcezza dei toni come segno di amore, la composizione attenta come cura di un gesto ecc…
In fondo è un po’ quello che dico all’inizio del mio ebook su concepire Instagram come mitologia. “il mito è nato per spiegare la realtà, una realtà che la maggior parte delle volte è molto più grande della razionalità e che per essere compresa nella sua grandezza ha bisogno di simboli, cioè di segni che aiutano a comprendere la verità delle cose ” (da Instagram secondo @mys.cottage)
Come posso imparare a inserire il mio sentire in quello che i miei occhi guardano? Come posso imparare a scrivere il mio racconto “mitologico”, ma pieno di verità? Posso imparare da chi, su Instagram, fa questa cosa meglio di me (ed ecco ancora una volta il perché della mia selezione di profili con INK361)
NON ESISTE BELLEZZA AUTENTICA SENZA IDENTITÀ
E’ ormai risaputo che quello che noi piccoli brand mostriamo su Instagram è raramente la cronaca di un momento nel suo reale accadere, quello che facciamo noi è raccontare una storia, la nostra. Si tratta di una storia vera, ma tradotta in una forma visiva curata e attenta perché gli altri che guardano possano immedesimarsi in un sentire, avvertire una sintonia. Come per tutte le relazioni umane però due persone entrano in sintonia quanto più è profonda la consapevolezza di quello che vivono, perché solo quando arriviamo davvero a capirci possiamo diventare per gli altri occasione di scoprire sé stessi.
La vera bellezza quella che lascia traccia e che non è semplice godimento estetico, è una bellezza che veicola un messaggio, è una bellezza piena di senso, è una bellezza che diventa segno, che indica un percorso, una strada e che ciascuno può fare propria. Questo tipo di bellezza è una bellezza che è al lavoro su di sé, che ricerca la propria identità, il senso profondo delle cose e del suo esserci.
NON ESISTE IDENTITÀ SENZA RELAZIONE
Selena Gomez, l’Instagrammer più seguita al mondo ha di recente raccontato che è andata tre mesi in riabilitazione per disintossicarsi da Instagram. Da allora non è più lei a gestire il suo profilo di cui non ha neppure l’accesso. Cosa è successo a Selena? Qualcosa a cui neppure noi possiamo sottrarci: la possibilità che questa estrema cura del racconto di noi (e quindi della risposta che abbiamo) diventi lo specchio attraverso cui ci guardiamo ogni mattina, una sorta di ritratto di Dorian Gray così perfetto da diventare il termine di paragone della nostro vero e più profondo “io” e quindi di fatto il tribunale da cui ci giudichiamo.
Come ci si salva da questo rischio? Vivendo con scarponi sporchi, amiche che parlano di bambini, vicini che fanno grigliate e mariti che sbavano sul cuscino. Vivendo con loro, seguendoli nella vita, amandone i dettagli, per poi tornare online a raccontare i frutti di queste relazioni attraverso un racconto visivo bello perché pieno di gratitudine, consapevolezza e amore. In questi giorni di disconnessione ho proprio capito che io mi conosco nella relazione con chi mi ama, la mia identità online è tanto più incisiva e interessante quanto più io curo e custodisco quella offline.
Così dopo avervi suggerito INK361 per utilizzare Instagram in modo efficace, vi suggerisco un’altro strumento da cui non si può prescindere perché il racconto di noi sia autentico: si chiama cuore, è infallibile e rimane sveglio e vivace attraverso le relazioni con chi ci aiuta a guardarci e ad amarci esattamente come siamo.
[grazie @cicaricicari per la tua osservazione sincera, mi ha aiutato a non dare per scontato un aspetto fondamentale, direi vitale]