Spesso in direct su Instagram o in risposta alla Newsletter ricevo delle domande che mi chiedono di approfondire alcune delle cose che ho detto o scritto. Ho pensato allora di dedicare periodicamente dei post a queste domande perché possono essere utili a tutti.
La domanda da cui parto oggi è questa ed è frutto di alcuni post tra cui quello sul “fare” e quello sullo smettere di studiare:
Come fai a capire che la tua scelta dipende più dall’intuizione che dalla paura o viceversa? Come fai a capire che quella cosa non ti serve nonostante sia bellissima, magari perché non è il momento, non sei pronta o non ti piace chi la sta facendo?
Cos’é l’intuito
Amo moltissimo le etimologie e ho scoperto qualche tempo fa che intuito deriva dal latino e significa “entrare dentro con lo sguardo”. L’intuito è difficile da spiegare a parole perché ha a che fare con le sensazioni e io credo che sia una forma di sapere che si alimenta con l’esperienza. E’ come se quando entriamo davvero “dentro alle cose con lo sguardo”, la nostra mente imparasse molte più cose di quanto non ne siamo consapevoli. Non sono la persona giusta per analizzare a fondo l’intuito, perché ho idea che c’entri molto con la psicologia, quello che so è che tutte le volte che non ho ascoltato quella vocina nella pancia che mi diceva “Rita no” oppure “Rita sì, vai!” mi sono pentita.
L’intuito e la testa
Mi sono sempre professata una persona super razionale e so che è così, non vivo mai le cose in modo impulsivo e sono sempre stata piuttosto schizzinosa verso i sentimenti e le emozioni. Poi sono cresciuta, mi sono resa conto che non esiste elemento di me che non meriti di essere guardato (per il solo fatto che esiste che accade, che mi è dato, deve avere un senso) e ho capito che anche quelle sensazioni che arrivavano dal corpo potevano essermi utili, potevano aggiungere elementi alle mie accurate analisi, perché il punto è proprio questo: non contrapporre la ragione alle sensazioni, ma mettere le une al servizio dell’altra.
Quando ho lasciato andare le Myselfie l’ho fatto senza esitazione perché ormai da tempo avvertivo una sensazione di pesantezza, quasi di claustrofobia tutte le volte che arrivava il momento di dedicarmi a loro. Amavo profondamente il loro messaggio, la cura che mettevo non era cambiata, razionalmente sapevo che potevo andare avanti, che dal punto di vista del business avevano futuro e avrebbero avuto ancora molta strada da poter percorrere, ma le sensazioni che provavo dicevano altro. Non ho messo a tacere quelle sensazioni, le ho guardate e ascoltate e soprattutto ho usato la testa per capirle e per dirmi che sì, avevano ragione e potevo dire “addio” a quel prodotto senza timore e soprattutto potevo abbracciare quell’entusiasmo che si muoveva in me nel lavorare al nuovo percorso che stavo affrontando.
La paura e i “mal che vada”
Anche la paura ha a che fare con le sensazioni, di solito in me si manifesta come un peso sul petto, l’affanno e parecchio malumore. Ho imparato a riconoscere la paura dalla sensazioni che mi provoca e se mentre con l’intuito lascio parlare lui e la ragione ascolta e mette in ordine, con la paura faccio il contrario: la metto a tacere con la testa. Ho scritto un post tempo fa proprio su questo e ribadisco che anche ora che ancora una volta sto cambiando molto nel mio lavoro, quello che mi aiuta ad uscire dalla paralisi che causa la paura è la risposta a questa domanda: “mal che vada?”
Mentre lavoravo all’intervento che devo fare per il Virtual NonProfit Summit (a cui ho detto sì mossa dall’intuito e alla luce di quello che ho scritto nello scorso post) ho dovuto fare un po’ di ricerca sulle attività NonProfit che utilizzano Instagram per fare comunicazione e raccolta fondi. Ne ho trovate tantissime, ma una fra tutte ha colpito la mia sensibilità (dimostrando che la loro comunicazione è davvero efficace): da qualche settimana la mia lettura serale è l’auto-biografia del suo fondatore, che mi sta arricchendo da tantissimi punti di vista. Ho detto sì ad un lavoro che mi ha portato in un ambito totalmente diverso da quello in cui mi muovo, che mi chiedeva di confrontarmi con persone e professionisti con un’esperienza molto più grande della mia e non nego che nel prepararmi il timore si sia affacciato spesso alla mia porta, ma la domanda che tornava era sempre la stessa: “Rita, mal che vada?”. La risposta che do ora è “grazie a questo “sì” hai conosciuto la realtà di Charity:Water”, ma sono certa che nel tempo le risposte a questa domanda saranno molte di più perché quando si ascolta l’intuito non si sbaglia mai, mentre quando si sta a sentire la paura ci si perde tutto.