45 minuti sono il tempo in cui si può gioire con i parenti in attesa del festeggiato;
45 minuti sono il tempo in cui i bambini sono capaci di giocare in giardino spensierati;
45 minuti sono il tempo dei saliscendi dalle scale per mettere le portate in tavola, per distribuire gli aperitivi, per prendersi in giro tra una tartina e un Crodino;
45 minuti sono il tempo di un’amnesia;
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45 minuti.
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1 secondo è il tempo eterno di un colpo al cuore e poi grazie a Dio quello di un respiro.
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45 minuti sono il tempo delle lacrime amare miste a gratitudine perché tutto è andato per il verso giusto;
45 minuti ripetuti per giorni e notti insonni sono il tempo del silenzio e della miseria di chi si scopre ancora più limitato, piccolo, incapace di quello che pensava;
45 minuti sono la somma del tempo dedicato a messaggi e chiamate ad amici per trovare in ginocchio un abbraccio che come un regalo immeritato arriva nonostante te e la tua miseria;
45 minuti sono il tempo di una confessione che ti restituisce al mondo perché perdonarsi da soli è umanamente impossibile, per questo solo un Dio può farlo;
45 minuti sono la mia nuova unità di misura della dimenticanza e del perdono che la salva, che ti salva.
Minfulness = porre attenzione in un modo particolare: intenzionalmente, nel momento presente e in modo non giudicante [Definizione di Jon Kabat-Zinn, il biologo che ne ha formulato i protocolli]
Sento il termine Mindfulness ormai da anni, un termine che mi è sempre sembrato lontano da me, non per il suo senso (che mi sembra molto profondo), ma per la sensazione di sforzo che ho sempre avvertito nella sua messa in pratica. Mi sono sempre chiesta se quello sforzo meditativo di “essere presenti nel momento” fosse davvero quello di cui avevo bisogno finché non ho capito che l’opposto di essere presenti non è l’assenza, ma la dimenticanza.
La dimenticanza è il mio peccato più grande perché in ogni cosa dimenticata (anche per semplice sbadataggine) si stacca sempre di più il nesso tra me e la realtà, tra me e Chi quella realtà la crea istante per istante.
E allora non so se ho bisogno di praticare la Mindfulness, ma certamente ho bisogno di sperimentare il perdono che ti restituisce quella memoria, la memoria che unisce tutto perché tutto è segno della Sua amorevole Presenza.
Eccola la mia Mindfulness, non la devo cercare lontano, non devo fare corsi, non la devo cercare in una pratica, in dei protocolli, ce l’ho già tra le mani e me l’hanno insegnata i miei genitori da quando sono piccola: la Mindfulness nella mia lingua si chiama preghiera esattamente in quel ripetersi di formule che paiono reminiscenza di un passato bigotto eppure sono l’unico modo per non dimenticarmi del presente e soprattutto di Chi me lo da, secondo ogni secondo, respiro dopo respiro.
Pregare è la mia Mindfulness.
p.s. non sono entrata nel merito dell’episodio dei 45 minuti perché è molto personale e ho imparato che non tutto ha bisogno di essere raccontato. Potete immedesimarvi in quell’amnesia tutte le volte che vi dimenticate di vostro marito o di vostra moglie, che vi dimenticate di avere un figlio in macchina (non serve abbandonarlo per dimenticarselo, si può semplicemente passare intere ore nella stessa macchina senza ricordarsi che lui è lì dietro), che vi dimenticate di avere una padre e una madre, un amico che ha bisogno (o anche che non ne ha) ecc… Quello che posso dirvi è che quell’amnesia ha portato frutti inaspettati: io e mio marito nello scoprirci miseri come mai prima di allora ci siamo inspiegabilmente amati di più, ma questo è possibile solo dentro ad un abbraccio più grande del nostro, che perdona. Sempre.
p.p.s. inutile dire che questa non è una critica alla Mindfulness, ma ancora una volta il mio modo di calare dentro la mia vita quello che di interessante trovo sul mio percorso
Il Vocabolario del Cottage è la mia personalissima interpretazione delle parole che vanno “di moda” nella mia “bolla”, quella che ha a che fare con la creatività, con la comunicazione e i social network e con la libera professione. Non mi interessa “essere contro”, ma guardare le parole che usiamo, capirle e quindi usarle con una nuova consapevolezza del loro significato. (nota bene: il mio vocabolario non è in ordine alfabetico, ma segue più che altro le cose che accadono)