All’inizio di quest’anno ho prenotato un volo + Airbnb e ho una lunga lista di cose che hanno a che fare proprio con quel viaggio. Non ci sarebbe nulla di strano o di particolarmente eclatante in tutto ciò se non l’avessi il primo mese dopo quel fatidico 2020. Eppure non l’ho fatto come sfida alla sorte, come protesta nei confronti di quanto ci è stato chiesto, l’ho fatto perché non posso fare a meno di vivere i “buoni propositi”, non come intenzioni, ma come passi concreti.
Non mi sono mai realmente schierata con uno dei due filoni “buoni propositi sì o no”, sono semplicemente una tipa pratica che davanti ad un’idea sul futuro lavora a ritroso ricostruendo tutte le fasi necessarie per arrivare a quel futuro, lasciando anche spazio alla possibilità che la rotta cambi direzione; questo per dire che per quanto mi riguarda, i propositi, per essere buoni davvero devono essere fatti di step concreti e praticabili.
A pensarci bene mi chiedo che senso abbia aggiungere quell’aggettivo, ”buoni”, perché mi chiedo se ci sia mai stato qualcuno che abbia stilato intenzionalmente la lista dei “cattivi propositi”; anzi, forse sarebbe un bellissimo esercizio di realismo perché ci renderemmo immediatamente conto che buono e cattivo, in questo caso, sono due concetti così astratti da essere, delle volte, intercambiabili. Ma allora cos’è il proposito e cosa lo rende rende davvero buono?
Abbiamo bisogno di un motore
Forse qualche tempo fa avrei detto che nella vita e nel lavoro abbiamo bisogno di una scintilla, ma poi ho visto Soul della Pixar e mi sono dovuta correggere: c’è qualcosa che inevitabilmente ti mette in moto e spesso quella cosa non la decidiamo noi , ci è data – inspiegabilmente, misteriosamente – ma è quello che succede dopo la scintilla che fa la differenza, è lì che accade davvero la vita.
La scintilla accende il motore, ma cosa lo tiene in funzione?
Da quando mi sono imbattuta nel Cerchio d’oro di Sinek, ho fatto del lavoro sul “perché che ci muove” – quello di BUSSOLA – una delle fondamenta imprescindibili del mio metodo di lavoro e mi sono dovuta scontrare diverse volte con alcuni grandi ostacoli:
- lo scetticismo di chi pensa che lavorare al proprio perché sia un superfluo esercizio di simil-psicanalisi, troppo emotivo per essere efficace;
- la difficoltà di chi si mette al lavoro e si vede dolorosamente immerso nelle paludi della tristezza perché, guarda caso, i grandi momenti cruciali che servono a formulare il nostro perché hanno quasi sempre a che fare con delle ferite;
- l’evidenza che la frase che emerge dal lavoro sul perché, difficilmente è davvero specifica per una sola persona, molto spesso è una formula adattabile a moltissime altre persone, nonostante gli episodi rintracciati siano diversi per ciascuno.
Così mi sono dovuta rimettere al lavoro cercando di smantellare se non il primo (quello dipende in piccolissima parte da me). almeno gli altri due blocchi e così ho scoperto una parola nuova.
Proposito (e Talenti)
PROPOSITO - Etimologia: dal latino propòsitum, participio passato neutro di propònere: 'ciò che è posto innanzi'. Il suo significato si sostanzia in un'immagine semplice e inequivocabile: è ciò che è posto avanti. Perciò diventa un paradigma, qualcosa che informa e dà il tenore a ciò che segue. [...] il proposito diventa sia l'intenzione, ciò che ci si propone di fare, sia l'argomento del discorso, la sua materia - il titolo.
Ho riscoperto la parola “proposito” di recente, mentre cercavo di capire come la scoperta dei propri Talenti potesse davvero diventare di una qualche utilità pratica e non solo un semplice esercizio “narcisistico”. Così mentre facevo delle consulenze di “prova” che non mi soddisfacevano mai, mi sono resa conto che scoprire i propri talenti non significa cercare di capire se effettivamente siamo o no in un certo modo, ma serve solo se li caliamo concretamente dentro al nostro fare, se ci guardiamo al lavoro e se proviamo a rintracciarli proprio in quei lavori, fasi, mansioni in cui ci sentiamo pienamente immersi e soddisfatti.
Quando si dice che “i talenti vanno investiti”, ci sono sempre due domande ricorrenti a cui devo dare risposta:
“quali sono i miei veri talenti?” e per questa ci sono diverse metodologie (tra cui il test nella scuola in cui ho fatto formazione)
“cosa significa investirli? E qui la risposta ha richiesto una scoperta:
Investire i talenti infatti, non significa semplicemente “fare quel corso di formazione perché ho il talento Learner* al primo posto” oppure “devo trovare un coworking perché devo prendere sul serio il mio talento Relator*”, ma trovare un punto chiaro di riferimento unico e significativo per noi – una bussola appunto – che ci permetta di utilizzare i nostri talenti con intenzionalità, decisione e coerenza, trasformandoli in punti di forza e permettendoci una piena realizzazione.
Ecco che allora il Cerchio D’oro di Sinek diventa interessante, e fare quel lavoro doloroso ha un senso, perché è proprio lì che i propositi smettono di essere “buoni o cattivi” o intenzioni astratte spesso dettate da altri, ma diventano scelte e passi concreti che non possiamo fare a meno di fare perché non possiamo fare a meno di rispondere a quello per cui siamo chiamati.
E le risposte hanno l’aspetto di piccoli o grandi passi, come quello di acquistare un volo aereo il 1 gennaio 2021.
* Learner e Relator sono i nomi utilizzati all’interno del test di identificazione dei talenti per cui ho fatto una formazione specifica.

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