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Non fingere, ma tradurre

Autore: Rita Bellati - Data: Dicembre 4, 2017

Non sono un’esperta di linguaggio e non ho cambiato tema del mio blog, ma mi piace, dove possibile, usare le parole giuste, soprattutto quando il rischio é quello di incomprensioni, fraintendimenti e generalizzazioni. Così oggi desidero spiegare quella che per me è la grande differenza che sta alla base di un buon lavoro visivo e cioè quella tra finzione e traduzione.

Le caratteristiche della finzione (visiva)

Come ho detto tante altre volte, nell’uso di Instagram c’è un grande rischio: l’importanza estetica che nel tempo ha assunto questo canale, ha fatto sì che molte persone si focalizzassero più su questo aspetto, su una scelta estetica fatta a priori, piuttosto che sulla propria identità e sul messaggio da trasmettere. Questo tipo di scelta d’uso, alla lunga, porta a due conseguenze a seconda dell’utente: in chi costruisce il racconto artefatto si arriva inevitabilmente a ritrovarsi incastrati in una forma che toglie libertà di azione (come è successo a @1924us), una sorta di gioco di ruolo in cui uno rimane prigioniero del suo personaggio; in chi osserva, invece, piano piano si genera una sorta di fastidio misto a diffidenza che tende ad allontanare invece che far affezionare.

Cosa significa tradurre e cosa c’entra con Instagram

“É meglio in lingua originale” quante volte ce lo siamo sentiti dire parlando di un libro o di un film. Ciònonostante guardiamo e leggiamo libri tradotti, gustandoceli e immedesimandoci nel racconto. Certo non è la stessa cosa perchè certe parole, certe espressioni hanno uno spessore e una profondità  spesso intraducibili, per cui manca un corrispettivo nell’altra lingua, questo però non scoraggia gli editori dalla pubblicazione o i lettori dalla lettura. Un buon traduttore però non si limita a prendere le singole parole di un testo e a cercare il corrispondente nella lingua di destinazione (quello lo fa Google translator), ma si impegna a cercare termini ed espressioni che siano in grado di trasferire – tradurre appunto – anche le suggestioni di quel testo, l’atmosfera suscitata dalle frasi, dalla punteggiatura, dal ritmo ecc…

Ecco, chi lavora bene su Instagram ha come vero interesse questo: non creare una realtà diversa o artefatta, ma tradurre in un linguaggio visivo (quindi necessariamente diverso e limitato rispetto all’originale) quello che ha deciso essere il succo della sua attività o del suo progetto.

Perché é utile tradurre?

Perché dovete immaginare Instagram come un mondo dove si parla una lingua particolare, una lingua che é fatta prima di immagini e suggestioni e successivamente di parole, un “luogo” dove il primo punto di contatto non é vocale ma visivo, dove le persone si riconoscono per affinità di sensazioni è poi si immedesimano in un approccio alla realtà (qualunque essa sia, di viaggio, di stile di vita, di modo di vivere il cibo e la cucina, di scelte di acquisto ecc..). Se l’intenzione è questa non si tratta di finzione, di artificio, ma semplicemente di un modo di descrivere la realtà adatto al mezzo e alle persone che lo utilizzano. Di più, io trovo che sia un modo intelligente e pieno di cura verso chi è lì ad ascoltare quello che abbiamo da dirgli.

Questo discorso vale per tutti?

No, ci sono profili che crescono e hanno molto séguito nonostante non abbiano adeguato la loro comunicazione visiva all’evoluzione di Instagram (ad esempio i vip o quei personaggi che vengono seguiti proprio per l’aspetto “reportistico” del loro profilo). Io credo che per ognuno vada fatto un discorso a sè che ha a che fare con identità, target, mussion, strategia ecc.. senza però ribellarsi per partito preso alle dinamiche del mezzo o aspettarsi un grandissimo successo se si decide di percorrere la strada del “io faccio le foto come capita”, perchè anche in questo caso ci vuole strategia (che non è una brutta parola, ma una parte fondamentale del processo di comunicazione) o una certa genialità.

Quindi su Instagram dev’essere comunque tutto bello e perfetto?

No, tutt’altro. L’imperfezione è quello che ci avvicina agli altri, ci rende umani e quindi non “odiabili”, ma compagni. Attenzione però, imperfetto non significa brutto, imperfetto significa vivo e quindi profondamente vero, amato, abbracciato. Si può guardare e raccontare l’imperfezione con gli occhi pieni di passione e amore per quell’umanità per quella quotidianità, la nostra, così teneramente difettosa e quindi, in ultima analisi, con occhi pieni di bellezza in grado di coglierla e mostrarla agli altri.

Io, ad esempio, ho scelto questo tipo di racconto:

imperfetto, ma abbracciato, amato, bello.

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Categoria: Instagram & Co.

Il mio TED Talk è online! Dentro ci trovate l'int Il mio TED Talk è online!
Dentro ci trovate l'intuizione che sta accompagnando e costruendo il mio (nuovo) lavoro.
Dura poco più di 10 minuti, vi lascio il link nei contenuti in evidenza (oppure potete trovarlo digitando su youtube Rita Bellati Ted Talk).
Fatemi sapere cosa ne pensate <3

LE ULTIME COSE CHE HO SCRITTO

  • E vissero felici e contenti
  • Ho deciso: chiudo il Blog
  • Il tuo pubblico (forse) esiste già
  • Non è questione di tempo
  • Riflessioni dopo un anno di “corsa”

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