Ciclicamente ad ogni inizio della scuola qualcuno dei miei figli va in paranoia. Questa volta tocca a Diego che a settembre inizia la prima elementare ed è molto preoccupato perché lui non sa fare le moltiplicazioni. Gli ho spiegato che si va a scuola proprio per imparare quello che non si sa, ma non so se l’ho convinto. Credo che il problema sia quello di essere nato in un’epoca dove l’ansia da performance ci viene consegnata assieme al braccialetto post parto e a furia di sentirsi dire “bravissimo” per qualsiasi fesseria (anche quando a 6 anni mangi con la forchetta), rendersi conto di non sapere fare tutto diventa fonte di preoccupazione.
Il sollievo di un “non lo so”
C’è stato un tempo in cui a qualsiasi domanda su Instagram (perché quello era “il mio argomento”) mi mettevo immediatamente alla ricerca di una risposta, anche se quella domanda poteva essere fatta tranquillamente a Google o riguardava magari una questione tecnica di sistema; in quanto “esperta” mi sentivo in dovere di dare tutte le risposte, come se diventare una wikipedia di Instagram mi rendesse più autorevole.
Poi ho capito che l’autorevolezza ha a che fare con delle scelte e non con il saper fare tutto, così mi sono resa conto che la mia autorevolezza su Instagram non ha a che fare con la tecnica, ma con un certo metodo d’uso, con un approccio; ora infatti se mi fate una domanda tecnica a cui non so rispondere dico serenamente “non lo so, chiedi a Google”.
Guardare l’incapacità
Quando a febbraio stavo riflettendo sulla forma da dare al percorso di Digital Detox che avevo in mente, per abitudine, mi sono concentrata sulle mie risorse e le mie capacità, ma avvertivo una certa insoddisfazione in tutte le idee che mi venivano in mente, avevo ben chiaro il perché volevo fare quella cosa e anche il metodo ma mi mancava sempre qualcosa; mancava una forma che lo rendesse nuovo e perché fosse nuovo dovevo cambiare prospettiva, dovevo guardarlo non come l’ennesimo percorso formativo ma come una possibilità di respiro e leggerezza, di ricordi suggestivi e ispirazione.
Consapevole di questo avevo davanti tre possibilità:
- Farlo come al solito come una vera Wonder Woman (percorso “formativo” online di Digital Detox)
- Azzardare qualcosa di “creativo” usando Canva (che per un’analfabeta grafica come me significava ore e ore di lavoro mediocre)
- Cercare altrove una mano che colmasse il mio “non sapere”, perché invece il contenuto di quello che volevo fare fosse davvero valorizzato.
La capacità dell’altro come occasione
Come sapete ho optato per la terza opzione e scegliere Burabacio tra le tante illustratrici che amo non è stato casuale: Sabrina e il suo modo di fare illustrazione e offrire “esercizi creativi” era proprio quello di cui avevo bisogno per questo lavoro.
Io che non sono leggera e non sono divertente, che uso la creatività più come chiave di lettura che come forma, avevo bisogno di qualcuno che aggiungesse leggerezza e divertimento al mio modo di risvegliare ricordi suggestivi e ispirazione. Avevo bisogno di una persona diversa da me, che sapesse fare cose diverse da quelle che faccio io , ma che abbracciasse comunque quel desiderio di profondità e ispirazione.
Spesso pensiamo che un “non lo so fare” sia un di meno, ma quello che ci perdiamo nel nostro egocentrismo misto ad “ansia da performance” è la consapevolezza che i talenti degli altri servono soprattutto ad esaltare i nostri.