Ormai si sa, alcuni profili Instagram (anche i più insospettabili) vivono e crescono grazie all’utilizzo di pratiche “alternative” rispetto al lavoro attento sulla strategia di comunicazione e la creazione di contenuti davvero rilevanti. Queste pratiche hanno vari nomi: Follow/Unfollow, Acquisto followers/like, partecipazione a Pod ecc.
Quando Giulia Nicoletti mi ha chiesto cosa pensassi di questa scelta diffusa, mi sono dovuta fermare un attimo perché spesso si ha la tentazione di guardare l’acquisto dei followers (o l’utilizzo di Bot e Pod) da un punto di vista esclusivamente etico, come se il vero problema di questa scelta avesse a che fare semplicemente con un comportamento scorretto, eticamente criticabile. Certo, queste pratiche vanno contro ai Termini di Servizio di Instagram, ma per me l’aspetto etico è quello meno importante, è solo una conseguenza di tutta un’altra serie di limiti e decisioni che portano alle scorciatoie di cui parlavo prima.
L’Io e L’Ego
Forse servirebbe un intero post dedicato all’egocentrismo, anzi, servirebbe un intero libro e dobbiamo ammettere che Instagram ha contribuito moltissimo alla crescita esponenziale dell’egocentrismo come contenuto di interi profili. Quello che si è perso lungo il percorso di utilizzo di questo Social è l’importanza della conversazione tra persone: non c’è più un “io” che racconta di sé per incontrare un altro “io”, c’è un “io” che se la canta e se la suona in solitaria diventando unità di misura di tutta la realtà, prescindendo dall’interesse dell’altro. E questo accade non solo in quei profili di Influencer superfighi che tanto critichiamo, ma anche nel nostro, quando ci dimentichiamo che stiamo parlando con qualcuno, quando non ci metto in ascolto (avete mai provato a chiedervi cosa significa “ascoltare” su Instagram? Ecco, io non lo faccio molto spesso). E’ proprio quell’egocentrismo a farci pensare che la cosa importante non è con chi stiamo parlando e cosa ci accomuna, ma quante persone diventano “spettatori”, reali o finti non importa: quel numero che campeggia sopra il nostro profilo è la nostra medaglia
Sterilità creativa
“Io non so cosa dire”, questa è una delle risposte più frequenti che mi sento dare tutte le volte che faccio una consulenza di profilo. Ma io credo che il punto non sia davvero il non avere nulla da dire, ma la convinzione che, perché una conversazione abbia senso sia necessario essere persone brillanti, simpatiche, fantasiose, talentuose. Abbiamo perso totalmente la consapevolezza che la creatività non ha a che fare con la genialità, ma con la capacità di raccontare “le solite cose”, quelle banali che tanto sto apprezzando ultimamente in un modo nuovo, profondamente nostro. E così invece di guardare la nostra quotidianità (lavorativa o personale) e impegnarci per raccontarla in modo da offrire valore a chi sta dall’altra parte, ci interessa trovare la strada più semplice per diventare grandi e grossi
Rifiuto della fatica e della pazienza
Io credo che questo sia un serio problema culturale che non ha a che fare con Instagram, ma con una concezione diffusa del “tutto subito e senza sbatti”. Lo vedo con i miei figli quando non riescono immediatamente a fare una cosa, quando il disegno sta venendo male e lo strappano invece di correggere, o quando sbuffano se gli chiedo di rileggere ancora la lezione per ripeterla meglio. La fatica è una palla, la fatica ha bisogno di ragioni solide per essere affrontata, sono necessari dei grandi “ne vale la pena”, ma, come per i miei figli, in questo mi sento addosso una grossa responsabilità: continuare a lavorare (su Instagram e altrove) raccontando come e perché vale la pena fare la fatica, dove mi sta portando il mio lavoro fatto con cura, senza scorciatoie, per questo non mi ergo a giudice di chi prende scorciatoie, ma semplicemente proseguo sul mio cammino scelgliendo la strada più lenta e faticosa, raccontare il mio percorso #spontaneamentecurato perché sia utile, interessante per gli altri e aiutare gli altri a fare lo stesso.
A proposito dell’aiutare gli altri, ho messo online la mia prima novità per il 2019; si chiama Riflessi, ma per scoprirla dovete andare QUI.