Davidino, il mio secondogenito, è un bambino sensibile e sorridente, ha il reparto “fantasia” parecchio sviluppato, il problema è che questo lo rende maldestro e molto distratto.
Un paio di anni fa ha perso il suo Orsetto Cuore, che non è nulla di sensazionale se non uno di quei mini oresetti Ikea da 1€; lui però ci era affezionato, tanto da vivere questo distacco con dolore; un dolore che che non si è mai affievolito (con magone incluso) per tutto questo tempo. Io pensavo se ne dimenticasse e invece la sua perdita é rimasta una ferita aperta per tantissimo. Noi gli abbiamo sempre detto che Cuore se n’era andato in viaggio, e questa cosa oltre a non levargli il dolore, gli ha sempre dato la speranza che un giorno sarebbe tornato. Il giorno di Natale Cuore è tornato. In realtà – come direbbe Lotso di Toy Story 3 – l’orsetto è stato rimpiazzato da un altro Cuore (l’abbiamo cercato il più possibile simile all’originale con un orecchio storto e la faccia un po’ schiacciata). Si è presentato sulla porta con il libro delle Mappe per poter raccontare a Davidino i paesi dov’era stato.
Per lui è stato il regalo di Natale più bello (20€ tutto compreso: decisamente win-win) e ogni tanto se lo piazza vicino esplorando quel librone pieno di curiosità e posti speciali che il suo orsetto ha avuto la fortuna di visitare.
Qualche settimana fa il Calda (mio marito) ha portato a casa dei pupazzi-melanzana regalatigli dalla cassiera del supermercato. Davidino si è immediatamente affezionato al suo Francesco (non chiedetemi il perché del nome!), ma ancora una volta la distrazione l’ha fregato: una sera Francesco era sparito. Io ho chiuso la faccenda con un “lo cerchi domani”, ma dopo un’oretta lo sento piangere nel letto “mamma io non voglio che Francesco se ne vada come Cuore!”. Devo ammettere che non ci ho pensato molto, ho smesso di lavorare (sì, lo sapete, per me sera=lavoro) e per 45 minuti ho cercato e trovato Francesco in mezzo al casino del loro tavolino. Davide si é asciugato le lacrime e si è addormentato sereno.
Perché vi sto raccontando tutto questo? Perché quella sera ho capito una cosa fondamentale: nella vita ci vuole ordine altrimenti si perdono le cose.
“Bella scoperta – direte voi – è arrivata la Kondo di turno!”
No, non mi riferisco semplicemente al mettere in ordine, all’avere una scrivania ordinata (quello anche), perché quello può essere un ordine estetico, bello, ma potrebbe mancare di uno scopo, potrebbe essere fine a se stesso e quindi essere sterile; io mi riferisco al vivere in ordine, obbedendo a quello che momento dopo momento ti è chiesto a quello che ti viene messo davanti agli occhi; non dico che non sia utile organizzarsi, fissare dei punti nelle nostre giornate, anzi, ha molto senso perché il vivere non sia un semplice navigare a vista (io sono molto contenta di aver finalmente imparato a organizzare bene il mio lavoro), ma è diverso mettere in ordine secondo una nostra idea astratta e mettere in ordine avendo chiaro che tutto, tutto partecipa alla nostra realizzazione.
Ecco perché c’è tantissima differenza tra il vivere il lavoro, i figli, le scadenze avendo come preoccupazione la “buona gestione” e obbedire invece a quello che succede. Nel primo caso tutto quello che si mette tra te e i tuoi piani, e la tua perfetta organizzazione diventa nemico, ostacolo e soprattutto motivo di lamento, essere invece disponibili davanti a quello che ti si piazza potentemente tra i piedi ti cambia, ti genera, ti rende scaltro e creativo, ti fa guardare tutto l’insieme in cui sei immerso con amore, che non vuol dire con leggerezza e sentimentalismo, ma con profonda coscienza che tutto, tutto è per te.
Quella sera io stavo lavorando, avevo segnato nel mio taccuino alcune cose da fare, ma ho deciso di rispondere al pianto di mio figlio (che non era un capriccio) e sovvertire i piani. I 45 minuti dedicati a Francesco-Melanzana sono stati l’occasione di guardare Davidino scoprendo il suo desiderio di non essere abbandonato e la fatica di dover lavorare fino a tardi é diventata gratitudine per l’essere madre.
In un mondo dove prevale sempre di più il lamento e la fatica dell’essere genitori, del non avere spazi, del non riuscire a realizzare i propri sogni io mi sono accorta che la realizzazione non c’entra con il fare, ma con l’essere: essere disponibile a seguire quello che la vita chiede, e scoprire addirittura che la mia realizzazione passa anche attraverso Francesco-Melanzana.