Come sapete per me Instagram è diventato una parte fondamentale del mio lavoro, o meglio un canale di comunicazione prioritario. Ne ho scritto qui sul blog, e su CasaFacile e ne ho parlato in varie occasioni in cui ho fatto formazione dal vivo. Instagram mi ha insegnato a raccontare attraverso le immagini e mi ha fatto raggiungere tantissime persone (in un anno i followers sono passati organicamente da 1100 a 6500, no non mi interessano i numeri, ma danno un’idea del processo), mi ha aiutato a capire di più chi sono le mie clienti e ad affinare l’occhio rispetto a quello che mi piace guardare e scattare.
Seguendo uno stile che amo molto (still life con l’utilizzo di elementi dal sapore vintage) e cercando di creare una gallery armonica, ho pubblicato una foto al giorno per buona parte degli ultimi mesi, fino a settimana scorsa, quando una mattina (io di solito pubblico prima delle 8 ) sono stata davanti allo schermo del cellulare per 5 minuti senza avere voglia di pubblicare nulla.
Sembrerà una stupidata, ma per una come me, super promotrice ed esploratrice di questo mezzo, è stato una botta. Un altro campanello è suonato quando, dopo che una persona che stimo molto ha espresso la sua perplessità su questo nuovo trend della “foto perfetta”, io ho sentito il dovere di giustificarmi (che a casa mia si chiama “avere la coda di paglia”); per concludere in bellezza, la mia adorata cognata mi ha scritto da Sidney per farmi i complimenti del mio successo con le Myselfie di Filippa (se vi siete perse il fattaccio eccolo qua) dicendomi però che forse è il caso di cambiare un po’ la tipologia di foto che faccio. Di getto, ammetto di aver pensato “vabbè, ma che ne sa Amaia delle strategie di gestione di Instagram?”, poi però mi sono fermata e mi sono guardata in tutta onestà, e mi sono scoperta senza voce. Ho passato dei giorni un po’ smarrita, quasi mettendo in dubbio la strada fatta, poi mio marito, stufo di vedermi vagare per casa con il teschio in mano della serie “Instagram o non Instagram”, mi ha spedito fuori casa con un secco “hai bisogno della realtà, prenditi la macchina fotografica e vai a farti un giro”, e niente fu più illuminante.
Ho girato per le campagne dietro casa mia in silenzio cercando di capire cosa non tornava, poi ho guardato i fossi che pur essendo in secca erano pieni di fiori e allora ho capito: quella mia – ormai abituale – tendenza a raccontarmi, posizionando oggetti sul tavolo mi stava svuotando della sorpresa di ciò che non controllo. Ero più arida di un fosso, ma, a differenza del fosso, da me mancavano i fiori, perché ero io a continuare a riempire quei solchi a modo mio, senza che fiorissero spontaneamente.
Che gioia constatare di avere ancora tutto da imparare e che sollievo sapere che il corso di fotografia a cui mi sono iscritta mesi e mesi fa inizia sabato, perché bisogna ammetterlo: fotografare degli oggetti distribuiti su un tavolo è una cosa abbastanza facile (gli oggetti sono fermi, puoi scegliere la luce, la composizione, puoi regolare e eliminare elementi di disturbo, ecc…), ma quando sei tu a doverti raccontare attraverso quello che la realtà ti mette davanti, allora lì ci vuole un’occhio vigile, una mano abile e un cuore attento a cogliere tutto il senso di quello che non controlliamo. Valorizzare quello che c’è, osservarne e riconoscerne la bellezza per me è molto più difficile che sistemare le cose perché tutto sia immediatamente apprezzabile; credo che però ci sia un abisso di ricchezza tra le due scelte.
E’ da un po’ di tempo che sto lavorando ad un progetto con il desiderio di insegnare agli altri a raccontarsi attraverso le immagini, ma non mi vergogno ad ammettere che io per prima ho bisogno di trovare una strada che sia profondamente mia e che non mi svuoti ma continui a farmi fiorire perché anche per chi mi viene dietro sia più facile scoprire la propria forma di raccontare la sua vita.
Non smetterò di pubblicare su Instagram, semplicemente mi regalo un periodo di ri-bellione sperimentale (che ho chiamato #myselfiecottageenpleinair) in cui forse non ci sarà più quella costanza temporale e quell’armonia di contenuti, ma ci sarà sicuramente più Rita che nelle ultime foto del Cottage (carine, lo so, ma poco mie).
Sono in subbuglio, ma piena di curiosità, come chi inizia un nuovo viaggio senza sapere bene cosa troverà, ma con la certezza di vedere cose meravigliose.
p.s. Ci sono due segni evidenti che mi hanno ridato linfa, energia ed entusiasmo: uscire a guardare il mondo (o come diceva Dante “a rivedere le stelle”) e scoprire di nuovo che la realtà mi è amica anche nei minimi particolari: grazie ad una cara amica-compagna di viaggio, ho scoperto che quei fiori che nascono nei fossi si chiamano Veronica e questo ha illuminato tutto il lavoro dei prossimi mesi: ve lo racconterò prossimamente, ma, che meraviglia!