Quando Davidino si è spezzato il dito dieci giorni fa, ho pensato che ci sarebbe voluto del coraggio per decidere di tornare sulla bicicletta dopo quello che era successo.
In realtà, guardandolo in questi giorni mi chiedevo come facesse a non preoccuparsi minimamente del fatto che nel suo dito ci siano dei fili di ferro che necessitano di parecchia attenzione. Come se quel dolore, quello strano sonno, quell’operazione e quella mano dolorante fossero un ricordo lontanissimo. Una buona dose di “incoscienza” immagino sia dettata dai suoi 6 anni, ma io credo che una parte di questa “allegrezza” sia dovuta al fatto che a causa di quel dito rotto e ferroso, Davidino sta imparando a “fare i passaggi di calcio”. Tutti i pomeriggi, mentre sua sorella si gode slalom e percorsi sui pattini e suo fratellino sfreccia con la mini-bicicletta, lui – che non definirei coordinato – si dedica a una sessione di “ferma, mira, tira, ora con l’altro piede, ora fai i passetti..” assieme al suo papà. Per una che non capisce nulla di sport e che ama il calcio quanto una lezione di matematica (quindi rasenta l’odio), guardarli è quasi commuovente.
Davidino quel pomeriggio in bici, quando si è spaccato il dito si stava divertendo molto, anzi, si stava “misurando”, stava misurando la sua abilità sulle curve in velocità (noncurante della madre che lo avvertiva del pericolo), voleva capire se era capace. Poi è caduto, si è rotto il dito, ha sofferto, pianto e si è sentito frustrato quando ha capito che per un po’ non avrebbe potuto fare quello che facevano i suoi fratelli. Finché non ha scoperto che per lui c’era un’alternativa e che quel desiderio di migliorarsi, di misurare le sue capacità, di non perdere tempo, in una parola, di diventare grande, poteva trovare una parte della sua realizzazione in una cosa che c’era sempre stata (il suo papà sportivo), ma che non aveva mai preso in considerazione perché lui voleva andare in bici.
Ho chiuso il capitolo “cartoleria del Cottage” proprio nei giorni in cui Davidino tornava a casa dall’ospedale (se non lo sapevate, sì, ho deciso di non fare più cartoleria e ne ho spiegato le ragioni nella mia newsletter) e ho potuto imparare da mio figlio come ci si rialza da una caduta (la sua poi era pure molto più rovinosa della mia).
Ci sono due modi per affrontare la non riuscita di qualcosa che desideravamo molto (io di creare qualcosa di “nuovo”, lui di sentirsi capace di manovrare con destrezza la sua bici): piangere e rassegnarsi rimanendo a terra, in attesa di poter risalire su quella bici. Oppure piangere, rialzarsi, accettare la frustrazione e poi però guardare lì di fianco, quel papà che è lì pronto con il pallone a chiederti “che ne dici di provare questa strada?”.
Davidino risalirà sulla sua bici e nel frattempo si sarà goduto suo papà e quei tiri al pallone.
Io invece non riprenderò la cartoleria (la mia più che una bici era un triciclo), ma come lui mi godo i tiri al pallone (che nel mio caso si chiamano Dorothea) noncurante delle ginocchia sbucciate, pronta a vedere cosa ci sarà poi, certa che i sogni sono fatti di concretezza, di piccoli traguardi e di altrettanti fallimenti, di ginocchia sbucciate e dita rotte, ma sempre con una grande promessa: Rita, diventerai grande (che è un altro modo per dire “diventerai te stessa”).
Non rammaricatevi per la mia cartoleria: in fondo significa che ho un sacco di regali da fare (in primis alle mie meravigliose corsiste!)