Quest’estate ho sentito un podcast in cui il creatore della Zumba raccontava la storia del successo di questo programma di fitness. La storia è incredibile (potete ascoltarla qui), ma le cose che mi hanno colpito di più sono principalmente due: come è iniziato tutto e cosa è successo grazie al fatto che Beto abbia semplicemente seguito il suo percorso, passo dopo passo.
Le sviste come occasione creativa
La Zumba è nata alla fine degli anni ‘90 in Colombia per una svista: un tale Alberto “Beto” Perez, insegnante di aerobica, ad una lezione aveva portato la musica sbagliata. Senza dire nulla ai suoi corsisti ha iniziato a fare lezione modificando ritmo, passi, proposte utilizzando la musica che aveva, il risultato è stata una lezione entusiasmante. Da quel momento Beto decise di lanciare quel nuovo modo di fare lezione di fitness intuendo che gli Stati Uniti potevano essere il paese adatto a quella novità. Iniziando da Miami, la sua proposta non solo venne accolta, ma divenne piano piano l’àncora di salvezza per molti durante la crisi post 11/9 e quella finanziaria del 2008. Beto offriva la possibilità di “fare festa” facendo esercizio e questa era la novità che molte persone non sapevano di attendere.
Segui il tuo percorso
La seconda cosa che mi ha colpito riguarda il percorso: Beto ha avuto passione e intuito, ma ha anche lavorato per strutturare un sistema che avesse senso e prospettiva. Zumba è diventato un marchio registrato e può essere insegnato solo da istruttori accreditati che mensilmente ricevono un pacchetto di canzoni da utilizzare per le coreografie. Questo a lui serviva per rendere in qualche modo costanti le entrate e per controllare la diffusione del suo “prodotto”. Quello che forse Beto non immaginava è che artisti internazionali vedessero le lezioni di Zumba come un’occasione per promuovere la loro musica (15 milioni di persone alla settimana vanno in una delle 200mila palestre dove è presente questo programma), tanto che dal 2010 alle lezioni di Zumba si possono ascoltare in anteprima brani che non sono ancora stati lanciati nelle emittenti “tradizionali”. Ecco, lui ha lavorato al suo progetto e poi sono successe delle cose, ma se non avesse accolto la sfida offerta dalla musica sbagliata e non avesse strutturato un percorso, niente di tutto ciò sarebbe accaduto.
La Zumba e il Fundraising
Quando il fondatore del Master in Fundraising di Bologna mi ha scritto dicendomi che voleva chiedermi una consulenza su Instagram sono cascata giù dal pero. Mi contattava perché aveva letto – per giri che non sto a spiegarvi – il post sui Monaci Benedettini e si era appassionato al mio modo di lavorare su Instagram (tra l’altro ero ancora in maternità, quindi il lavoro non era minimamente citato). Quando mi sono ritrovata davanti alla sede del Sole 24 Ore mi è venuta in mente la Zumba, non perché stessi incontrando PitBull che mi offriva i suoi dischi in anteprima (come è successo a Beto), ma perché io lavorando al mio piccolo Cottage, mai avrei pensato che il mio metodo potesse essere interessante per chi fa fundraising, anzi, io il fundraising sapevo a malapena cosa fosse.
Vado a fare Zumba?
No, assolutamente, ma questa storia mi ha insegnato molto, soprattutto a fare piani senza avere la preoccupazione di capire o prevedere tutto, a seguire il mio percorso fino in fondo, con serietà e impegno, a accettarne i cambiamenti e le sfide senza timore. Mi ha insegnato a seguire l’intuito nel dire sì e no e a rischiare quando il sì si fa sentire in modo particolarmente forte perché in fondo mentre tu lavori con cura alla tua visione, il mondo attorno si muove e magari non ti ritroverai a cena con Shakira, ma certamente scoprirai che il tuo lavoro serve a molto di più di quello che avevi immaginato.
Come è andata con il professore del Master in Fundraising? Così: Settimana prossima terrò un webinar in cui metterò a disposizione le mie competenze per le realtà non profit che desiderano usare Instagram per raccontarsi. La partecipazione Live è gratuita e ci si può iscrivere QUI.