Le ombre ormai si allungavano sulla scrivania e la loro forma geometrica le faceva mancare il fiato. Aveva passato l’ennesima giornata davanti al Pc, cuffie nelle orecchie con musica new age per concentrarsi meglio – così le avevano detto – e quel plico di riviste di viaggio tradotte, da consegnare il giorno seguente. Erano passati 7 mesi da quel fatidico giorno in cui si era licenziata e aveva lasciato alle spalle quel “te ne pentirai” pieno di compatimento. Era corsa incontro all’autunno piena di entusiasmo, con la certezza che quella fosse la strada giusta, che il suo posto nel mondo fosse un altro. Ora davanti a quel PC muto si chiedeva cosa fosse successo. Lei amava quel lavoro, era anche riuscita a crearsi un bel giro di clienti in poco tempo, “stai andando bene Veronica, cosa c’é che non va?” si chiese ad alta voce alzandosi dalla sedia e andando verso la cucina. Stette in silenzio,in attesa, ma l’unica risposta che ottenne fu il campanellino del microonde che l’avvisava che la sua cena riscaldata era pronta. Di lì ad un paio d’ore lui sarebbe rientrato e le avrebbe chiesto com’era andata la giornata e lei non sopportava l’idea di ripetere sempre quel vuoto “dai, abbastanza bene”, così decise di adoperare la tecnica degli ultimi giorni: farsi trovare semi dormiente sul divano e accogliere silenziosamente quelle carezze che lui comunque continuava a regalarle.
La mattina dopo la consegna del lavoro fu perfetta, cliente soddisfatto, pagamento ricevuto, insomma niente di più desiderabile, eppure sentiva quel vuoto dentro. E mentre era lì, sulla strada di sempre, bloccata nel traffico di sempre, il fiato le mancava più del solito; forse era colpa della luce di quel primo pomeriggio di primavera filtrato dal finestrino, o forse era il foulard azzurro che le stringeva troppo il collo, sta di fatto che senza pensarci deviò in quella stradina che affiancava la vecchia trattoria, fermò la macchina e si butto fuori per recuperare fiato. Rimase un attimo in sospeso, poi si legò intorno alla vita il foulard azzurro, si sedette sul ciglio di quel grande prato e il respiro riprese il suo ritmo regolare.
Passò un attimo fissando nel vuoto, poi iniziò a seguire con lo sguardo una farfalla gialla che svolazzava silenziosa accarezzando delicatamente quell’erba selvatica; c’era qualcosa che le calmava il cuore in quello che i suoi occhi vedevano, ma non riusciva a metterlo a fuoco, poi finalmente si accorse di quella sfumatura azzurro acceso che dipingeva quel prato. Pensava fosse un riflesso ma poi notò quei fiori dall’aria familiare. “Hai visto gli Occhietti della Madonna, Veronica?” le sembrò di sentire la voce sua madre accompagnata da quel suono di catena di bicicletta da oliare “sì mamma, non li vedevo da tempo, o forse li avevo davanti agli occhi, ma ho smesso di guardarli” rispose nella sua testa. Rimase tutto il pomeriggio davanti a quello spettacolo così semplice fino a commuoversi pensando al fatto che quei fiori, quella sfumatura di prato, quella farfalla in quel momento sembravano aspettare lei in quel momento perché potesse riguardarsi e capire che quel vuoto dentro era un regalo, era l’occasione per capire che non poteva accontentarsi dei suoi piani ben riusciti, che la vita é molto di più e quel suo cuore assetato chiedeva di riempirsi di bellezza per ritornare a regalare bellezza.
Piena di nuova linfa tornò alla macchina e nel finestrino rivide quella Veronica bambina, con il vestitino azzurro leggero, gli zoccoli ai piedi e lo chignon mezzo sfatto che lasciava cadere un ciocca di capelli sulla spalla.
Finalmente sorrise, raccolse un mazzolino di quei fiori azzurri , li infilò in quella borsina di stoffa che conservava da sempre e tornò verso casa, nuova, rinata. Quella sera lo aspettò sveglia, con la tavola apparecchiata e lo chignon sfatto e quella nuova consapevolezza: non aveva bisogno di cambiare quello che aveva, perché ogni cosa, come quei fiori, era per lei – anche la tristezza – era solo necessario imparare a guardare per scoprirsi di più.
“A proposito”, pensò “chissà qual è il vero nome di quei fiori”. Digitò sul PC “Occhietti della Madonna” e Google le restituì un nome: Veronica Persica
Veronica è nata dal forte desiderio di tornare al bello, in una parola, di ri-bellarmi. Veronica ha molte forme, è l’amica che ti ricorda che la vita è più grande del tuo particolare, è quella bimba che ti regala un sorriso, è quella ragazza conosciuta online che ti contagia con la sua passione per quello che la circonda, è il fiore spontaneo che nasce lì al bordo del marciapiede e ti fa fermare, respirare e ricominciare piena di gratitudine. Veronica sono io quando ho il coraggio di guardarmi dentro, fino in fondo, fino a raggiungere quella voce che spesso metto a tacere e che mi ripete “manca sempre qualcosa, Rita” e quella voce diventa una risorsa, la più grande risorsa.
Myselfie Veronica è nata dal forte desiderio di vivere in armonia, quella che ciascuno di noi ricerca nella vita quotidiana, quella che fa guardare quella stessa vita come un tutt’uno fatto di pieni e di vuoti, di rumore e di silenzi, di ritmi intensi e di momenti di calma, di varietà di suoni e di una costante pace di fondo.
Veronica ha molte forme, è l’amica che ti ricorda che la vita è più grande del tuo particolare, è quella bimba che ti regala un sorriso, è quella ragazza conosciuta online che ti contagia con la sua passione per quello che la circonda, è il fiore spontaneo che nasce lì al bordo del marciapiede e ti fa fermare, respirare e ricominciare piena di gratitudine.
Veronica qui nel Myselfie Cottage è la possibilità di sperimentare quell’armonia attraverso strumenti, risorse e ispirazioni.
Se quello che cerchi è questa possibilità di vivere la vita così com’è, ma con più gusto ed entusiasmo allora sei nel posto giusto.